VOGLIA DI STUDIARE… QUESTA SCONOSCIUTA!
La maggior parte dei genitori che mi contatta più che specifiche difficoltà di studio dei propri figli, mi parla della loro mancanza della “voglia di studiare”.
Sembra che la mancanza di voglia di studiare sia un flagello che colpisce un po’ tutti, prima o poi, ma con una particolare tendenza i ragazzi dalla prima media alla seconda/terza superiore.
In questa fase la mancanza di motivazione sembra il fardello maggiore, la difficoltà estrema, che mette in discussione tutta l’esperienza scolastica.
E via di pomeriggi lunghissimi a rimandare l’inizio del momento dello studio…
E via a periodi di insoddisfazione e frustrazione dei ragazzi e, diciamocelo, di noi genitori.
Qualcuno mi chiede, proprio nello specifico, COME RIACCENDERE LA MOTIVAZIONE ALLO STUDIO DEL PROPRIO FIGLIO.
Sarà difficile dare una risposta univoca (ma ci proveremo!), perché è chiaro che non esiste una bacchetta magica, un motivatore efficace esterno: nessuno può motivare una persona di punto in bianco. Sono una serie di esperienze, di relazioni, di accadimenti, che fanno nascere una consapevolezza nuova.
Possiamo certamente essere per uno studente la figura chiave nella sua motivazione, ma non possiamo instillarla, ma vederla crescere in lui, semmai, grazie, ANCHE, a noi e al nostro lavoro, al modo di rapportarci.
Ma, cominciamo!
Vorrei prima di tutto fissare due concetti chiave alla base del discorso sulla Voglia di studiare.
Primo
La voglia di studiare è DIVERSA dalla capacità di apprendere.
Le due cose vanno per certi versi di pari passo, naturalmente, perché senza la prima non entra in campo la seconda, ma quest’ultima esiste. L’apprendimento non è solo nozionismo, e questo dobbiamo ricordarlo, quando parliamo di motivazione allo studio.
Spesso, i nostri ragazzi non amano il nozionismo, ma amano apprendere cose nuove. Magari non sono cose che riguardano il mondo scuola. Ma TUTTI amiamo imparare cose nuove, acquisire capacità, migliorarsi in un determinato campo. Partiamo da questo: anche a tuo figlio piace sapere e saper fare le cose. Solo che, forse, in certi ambiti pensa che sia troppo difficile, e crede, per le esperienze avute di non esserci portato. Semplicemente.
Secondo
La voglia di studiare non è una cosa che si ha, o non si ha.
Non nasciamo con la voglia di studiare, o senza. Non è una caratteristica innata, genetica. Non è neppure un tratto di perso personalità. E’ il frutto di un processo. Di condizioni ambientali, culturali, delle esperienze avute e di come, queste esperienze, sono state vissute.
E quindi veniamo proprio all’ origine della motivazione allo studio. Come nasce, o non nasce, da cosa è influenzata, la (mancanza) di motivazione?
Possiamo individuare 4 macrofattori che la influenzano:
Primo: l’ESPERIENZA SCOLASTICA, e il modo in cui la scuola stimola i nostri figli.
Le lezioni sono coinvolgenti o tediose? Solo lezioni frontali o attività di discussione, analisi, ragionamento, creazione di un qualcosa? Il modo in cui l’insegnante spiega è accattivante? Comprensibile? Oppure complesso o noioso?
Questo non è il solo e unico fattore che fa la differenza, è chiaro. Ma è parte di essa.
La maggior parte dei ragazzi che vengono da me a lavorare sul metodo odiano la Storia. Questa materia sembra essere diventata un peso insostenibile. Perché? Perché è considerata difficile e perché è considerata noiosa.
Ci sono giocoforza molti fattori individuali che portano a questo, che partono anche dal livello culturale della famiglia, del contesto personale, ma se c’è una cosa che un insegnante può fare (o potrebbe fare meglio se non dovesse render conto del programma ministeriale…) ecco, quella cosa è proprio il far vivere la materia in modo diverso.
Meno date, fatti da imparare a memoria. Più discussioni critiche sulle questioni storiche, più visioni e confronti tra epoche, correnti politiche, fatti, collegamenti agli accadimenti moderni, lavori di ricerca autonoma e creativa, uso di fonti alternative e più coinvolgenti.
Non è per nulla facile, tuttavia va fatto.
E ancora, nella scuola: il sentirsi sempre sotto valutazione, con ogni performance legata ad un voto, un numero, un giudizio: per alcuni può essere uno sprone, per molti diventa frustrante, inutile, pesante.
Qui entra in gioco il legame tra il risultato (anzi il giudizio dell’insegnante, che spesso non è il risultato oggettivo) e l’immagine di se’, del proprio valore. E questo legame a doppio filo, indissolubile, spesso crea forte disagio, molte volte inespresso, che in molti casi sfocia nel disimpegno, nel non mettercela tutta tanto andrà male.
Ricordiamoci che il non impegnarsi, spesso, è una strategia difensiva, inconscia è chiaro. “Se mi impegno e poi va male… che giudizio avrò di me?” Tanto meglio non mettercisi neppure, così se va male sarà perché non ho studiato abbastanza: questo lo posso sopportare.
Il SECONDO macro fattore che influenza la motivazione allo studio è la DIFFERENZA INDIVIDUALE.
Ma non nel senso che c’è chi ha più e chi ha meno voglia di studiare, di default.
Significa che c’è invece chi ha bisogno di più stimoli per appassionarsi a qualcosa. O chi si annoia più facilmente e velocemente. C’è chi è più resiliente di fronte alle frustrazioni, alle gratificazioni posticipate (come quelle di un buon voto tra due settimane), e chi invece non resiste alla gratificazione momentanea della distrazione, di pensare a qualcosa di diverso dalla materia che sta studiando, troppo impegnativa cognitivamente.
Se è vero che noi genitori, per quanto riguarda l’aspetto del sistema scuola, possiamo fare ben poco (per non dire del nulla che possiamo fare in questa situazione in emergenza covid e di quanto siamo costretti ad accettare NON dagli insegnanti, sia ben chiaro, ma dall’istituzione), è vero invece che sulle inclinazioni individuali possiamo, in parte, lavorare.
Come? Prendiamo uno degli aspetti che ho citato, la tendenza a preferire le gratificazioni immediate, l’incapacità quindi di impegnarsi, anche cognitivamente, per lungo tempo in vista di un risultato futuro.
Possiamo fare molto con l’allenamento e l’abitudine.
E’ un compito difficile per NOI genitori, più che per i nostri figli. Siamo noi qui i primi a dover essere pazienti, perseveranti, e non demordere all’assenza del risultato immediato.
Possiamo ad esempio condividere con i nostri ragazzi letture un pochino più impegnative dell’ultimo libro della “Schiappa”, magari passando prima ad un tranquillo Percy Jackson, per poi orientarli verso letture le cui frasi siano più lunghe di due righe.
Dove gli incisi non siano completamente assenti. Dove qualche concetto vada per forza riletto, le prime volte, per essere compreso. Dove non ci siano solo dialoghi tra i personaggi a dare quel ritmo incalzante alla storia, ma ci sia anche qualche descrizione, qualche riflessione…
Forse dobbiamo tornare un po’ indietro, perché le letture per ragazzi di oggi tendono a compiacerli un po’ troppo, ad essere apprezzate per la loro facilità ed immediatezza. Dobbiamo, insomma, abituarli ad un ritmo un pochino più lento.
Un’area che insegna la resistenza all’impegno e la resilienza poi è lo sport. Uno sport che impegni ad un miglioramento costante, in quella che viene chiamata “pratica intenzionale”, dove allenarsi è normale, sbagliare è normale, e non un dramma. Dove per imparare l’errore è accettato e vi sono precise strategie per evitarlo.
O ancora possiamo creare una routine di responsabilità per i nostri ragazzi, nella quale, con impegno e difficoltà crescenti, siano chiamati a contribuire al menage familiare, ad esempio. Ma non a nostra richiesta, estemporanea, ma come routine ripetuta e costante, come impegno preso una volta e sempre, di cui siano i primi responsabili e per cui abbiano un loro ruolo riconosciuto. Ovviamente, il tutto commisurato all’età e alla maturità.
L’allenamento all’impegno parte anche da qui: dalla necessità di focalizzare l’attenzione un po’ di più, dall’idea che il miglioramento avviene con l’allenamento, in qualsiasi campo, dalla gestione di responsabilità precise.
E siamo alla 3 macro area che ha influenza sulla motivazione allo studio, e questa è molto semplice, in effetti: si tratta della maturità individuale.
Siamo abituati a fare confronti, ed è normale, perché ci da l’idea della posizione rispetto a quello che c’è intorno, a quella che poi consideriamo la “normalità”. Ma ogni ragazzo arriva alla motivazione allo studio attraverso un suo percorso, ed è anche questione di quanto è riuscito a sviluppare la sua consapevolezza a riguardo.
La scuola e la famiglia possono averlo stimolato o meno in questo. Ma ogni ragazzo ha anche tempi diversi. Oppure ha bisogno di stimoli che troverà solo più avanti in certi contesti.
Ci sono ragazzi che faticano per tutta la durata delle scuole superiori, che sembrano inadatti allo studio teorico e astratto. Per poi magari eccellere o avere comunque un buon andamento all’università, e viverla con passione e impegno. Lo stile diverso, lo studio e l’organizzazione più personali, la scelta più specifica di una materia o ambito apprezzati, spesso sono aspetti che mancano alle scuole superiori, che fanno pesare lo studio. Poi, arriva la passione, e con questa, la motivazione all’impegno.
Infine, quarto e ultimo macro aspetto che influenza la motivazione allo studio, sono i RISULTATI scolastici.
Purtroppo risultati non soddisfacenti portano al circolo vizioso del disimpegno, anche e soprattutto a fronte di valutazioni scarse dei docenti che, nell’intenzione magari, vorrebbero essere uno sprone, ma che quasi mai lo sono.
Un paio di settimane fa ho iniziato con 12 ragazzi l’Evolution Camp, e uno dei partecipanti mi ha detto che alcune materie proprio non gli piacciono, e quindi in quelle materie va male.
Gli ho proposto di vederla diversamente, invece: non è che forse, spesso, quando una materia non ci piace (pensa anche tu genitore alla tua espeirnza da studente…), è proprio una materia dove non ci sentiamo capaci?
E allora non è forse vero che, se la capissimo meglio, se ci ritenessimo bravi in quella particolare materia, forse ci piacerebbe molto di più? Insomma, forse non andiamo male nelle materie che non ci piacciono, ma non ci piacciono le materie in cui andiamo male, in cui in definitiva l’immagine che abbiamo di noi non è quella che vorremmo.
Ecco perché, una parte della motivazione allo studio, dipende senza ombra di dubbio dalla soddisfazione che abbiamo rispetto ai risultati ottenuti. Ed ecco perché, lavorando sui risultati, indirettamente lavoriamo alla fonte, ovvero sulla motivazione.
Spesso infatti il timore di sbagliare, la convinzione di non essere “portati per” fa agire, o non agire, di conseguenza.
Nel momento in cui uno studente comprende che la sua capacità in quella materia puà oggettivamente cambiare, anche la sua motivazione cambia. Sentirsi in grado di avere il controllo dell’ambiente e di poter agire su esso, fa agire. E fa cambiare quello che in psicologia viene detto “locus of control”, ovvero:
la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà.
Se so di poter cambiare le cose agisco, se penso che siano indipendenti da me, se penso che la mia incapacità derivi da qualcosa di innato, non serve agire.
Ecco perché lavorare sul metodo, sulle strategie concrete di studio, fa tanta differenza.
E’ difficile all’inizio, incontriamo resistenze come genitori, ma una volta innescato il meccanismo il circolo da vizioso diventa virtuoso.
I tempi sono diversi per ciascuno, è ovvio.
Ma il meccanismo va invertito, volontariamente. Altrimenti il tutto è in balia solo ad aspetti al di fuori del nostro controllo.
E infine, come genitori, cosa ancora possiamo fare, quale atteggiamento possiamo tenere per aiutare i nostri figli a vedere lo studio non come un’imposizione, o un obbligo, ma come invece un‘ OPPORTUNITA’?
Piccole cose, non risolutive da sole, ma utili insieme, perché lavorano su diversi aspetti e da diversi punti di vista. Ecco alcuni esempi.
- Focalizzare la nostra attenzione sui punti di forza di nostro figlio, nello studio e non solo (la vita non è fatta solo di studio), e non sempre e solo su quelli di debolezza;
- Elogiare l’impegno, la costanza, e non il risultato;
- Aiutare i nostri ragazzi a verbalizzare le loro sensazioni di disagio o di gratificazione, nell’ambito dello studio, stimolandoli con domande precise, per aiutarli a riflettere su tali sensazioni, a sentirle, a comprenderle, e a capire da dove derivano: verrà fuori che il disagio talvolta deriva dall’aver procastinato più volte un compito o lo studio di un argomento; la soddisfazione invece dall’aver completato per tempo, addirittura in anticipo, qualcosa di assegnato, o dall’aver preso un buon voto grazie alla consapevolezza di una preparazione ben pianificata. Costruiremo così una serie di riflessioni e ragionamento che nostro figlio ricorderà e da cui verrà influenzato positivamente.
- Dare l’esempio: dai 10-12 anni in su per i nostri figli non siamo più una guida autorevole, consciamente. I punti di riferimento iniziano ad essere i loro amici, i coetanei, altre persone. Quindi ribadire, sgridare, punire serve solo fino ad un punto specifico di non ritorno, diverso per ciascuno. Per il resto, quello che vale, inconsciamente, è l’esempio. Predichiamo la costanza ma poi sul lavoro siamo i primi ad arrivare in ritardo? Ad odiare il lunedì e il rientro al lavoro? A non leggere mai un libro? A stare davanti alla TV invece di aiutare in casa? I nostri ragazzi imparano attraverso l’imitazione molto più che attraverso lo studio razionale.
- Piuttosto che punizioni quando capita un brutto voto, diamo regole. Costanti, precise, condivise. La predica leghiamola al mancato rispetto delle regole, non al risultato scolastico di per se.
- Aiutiamoli a capire quali sono i loro obiettivi scolastici. Facciamoglieli decidere, verbalizzare, magari mettere per iscritto. Non tutti vogliono una pagella con tutti 8. Alcuni, e per certe materie, preferiscono un 6, o hanno bisogno di salire da un 4 ad un 5, per ora. Facciamo loro capire che il cambiamento va deciso, prima che attuato, e che va fatto a piccoli passi. La gratificazione non è mai immediata.
Ciò che ha vero valore costa fatica. Se poi alle volte non sarà così, sarà di certo una bella eccezione.
Lavoro sul Metodo di Studio con ragazzi dai 10 ai 18 anni dal 2016, con attività in presenza e online.
Il metodo StudiAMO insegna concretamente come agire sul materiale scolastico, come organizzare il proprio tempo, come valutare la propria preparazione. Aiuta gli studenti ad acquisire finalmente la propria autonomia, e sopratutto una consapevolezza del tutto nuova rispetto alle strategie di studio e alle proprie capacità.
VIENI A SCOPRIRE IL CORSO “EVOLUTION” PER TUO FIGLIO, DAI 10 AI 18 ANNI |