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Memoria: perché non ci hanno mai insegnato ad usarla?

Ti hanno mai insegnato le tecniche di memoria a scuola? Probabilmente no. Ci hanno insegnato solo cosa ricordare, e non come.

E perchè?

Domanda che io mi sono posta subito, appena le tecniche hanno reso evidenti ai miei occhi le innumerevoli possibilità insite nel loro utilizzo.


Non importa se ti sei avvicinato alle tecniche con qualche lettura o partecipando a dei seminari, ti sarai certo posto anche tu questa domanda: perché le tecniche non ce le insegnano a scuola?

La risposta è semplice quanto allarmante: la modernità si è dimenticata delle memotecniche. Assurdo ma vero.

Cambiamo scenario: ti accompagno per un attimo nel V secolo a.C., siamo in Tessaglia, e il poeta Simonide di Ceo è appena scampato ad una tragedia. La sala banchetti nella quale fino a poco prima si trovava è appena crollata uccidendo tutti gli ospiti. Il fatto degno di nota, in tutto ciò, è che Simonide, di lì a poco, avrebbe aiutato i familiari dei defunti a riconoscere i propri cari, nonostante fossero stati orribilmente sfigurati dal crollo. Il punto è come ci è riuscito: ricordava esattamente il punto della sala ove ogni invitato si trovava.

Non deve sembrare strano: gli esseri umani sono molto efficienti nel memorizzare gli spazi. Simonide, di certo, avrà avuto una predisposizione per l’attenzione dei particolari che spesso noi non abbiamo. Specialmente ora, nell’era della distrazione. Ma abbiamo invece la sua stessa capacità di ricordare gli spazi.

Infatti, pensa: quand’è stata l’ultima volta che sei stato in un ambiente per te nuovo? Che sia stato un ufficio, un’aula, la casa di un amico, se ora provi a rievocare la disposizione di mobili ed oggetti, non ti sarà difficile capire che hai assorbito inconsciamente tutta la struttura generale del luogo. Sai se c’erano finestre, e dove erano posizionate, ad esempio. Dove si trovava un dato mobile o scrivania rispetto alla porta. Siamo per natura molto bravi ad imparare gli spazi. Magari fosse così con l’apprendimento delle conoscenze, vero?

Ecco, al tempo in cui non esistevano macchine fotografiche, nè la possibilità di scrivere, gli antichi hanno iniziato ad utilizzare questa stessa capacità per ricordare anche quelle informazioni che è meno facile interiorizzare con un ordine preciso: hanno iniziato ad associare gli spazi ed i luoghi che conoscevano bene con le informazioni che dovevano ricordare.

Questa è nota come Tecnica dei Loci (locus, loci – dal latino = luoghi), ed è Cicerone ad essere ricordato come il massimo utilizzatore di questa strategia: memorizzava i discorsi da tenere in senato proprio in questo modo. Non solo: ne ha scritto nel suo “De Oratore“, ha parlato dell’ars memoriae, ma poco: sosteneva infatti che le tecniche di memoria fossero così conosciute, utilizzate e parte integrante della conoscenza del tempo, che non valesse nemmeno la pena di descriverle nei particolari.

Infatti la memoria per gli antichi aveva un significato ben maggiore che al tempo odierno: era il cuore della formazione classica al pari di grammatica e logica: in carenza dei libri, la memoria era l’unico supporto davvero efficace per tramandare la conoscenza. Non solo: era una virtù, perché attraverso la memoria gli antichi interiorizzavano un insieme di conoscenze che li rendevano migliori in morale, rettitudine e forza interiore.

Solo conoscendo a menadito la teoria, si riesce ad utilizzarla nella vita quotidiana, e a farla diventare pratica.

Fino alla fine del  medioevo le tecniche sono state molto popolari. Tommaso d’Aquino e Pietro da Ravenna sono solo due degli esponenti di rilievo, che hanno utilizzato e descritto le tecniche nei loro testi. Nessun uomo colto poteva permettersi di non utilizzarle a quei tempi: quando ti capitava tra le mani un libro interessante, era un’occasione unica, non ti sarebbe più stato disponibile tanto facilmente. O lo facevi tuo con le tecniche, o il suo contenuto non ti sarebbe più stato disponibile. Non potevi riandare a sfogliarlo prendendolo dallo scaffale della tua libreria.

Nel medioevo, insomma, moltissimi uomini di cultura erano in grado di memorizzare testi e nozioni a menadito. Il problema, ad un certo punto, è stato che questi eruditi hanno divulgato fin troppo bene le tecniche sottese a tanta efficacia mnemonica: il segreto era tradurre i concetti in immagini e posizionarli nei luoghi conosciuti. Ma le immagini, si sa, per essere memorabili devono stuzzicare i sensi. Vi lascio immaginare (appunto!) quali fossero quelle suggerite in questi testi… Pietro da Ravenna scrive “se desideri ricordare presto, colloca nei luoghi vergini bellissime…”

E così, si scatenò l’ostilità della chiesa. E lo sapete come è sempre andata, nei tempi antichi: quando la chiesa si è messa contro qualcosa, ha sempre vinto. Nel XVI secolo il reverendo William Perkins di Cambridge denunciò l’arte della memoria come “empia”.

Ma non fu solo colpa della chiesa: nel 1450 Gutemberg se ne uscì con una delle invenzioni più formidabili del tempo: la stampa a caratteri mobili. Di lì in avanti cambiò tutto gradualmente, e il supporto cartaceo divenne un sostituto della memoria. Tra le ostilità della chiesa e la possibilità di disporre di testi scritti, l’arte della memoria pian piano scomparve dall’uso comune.

Ed eccoci, nel XXI secolo, ad essere così pieni di informazioni da gestire, così bisognosi di acquisire in modo veloce conoscenze che rapidamente cambiano e si evolvono, ma a non avere gli strumenti adeguati per farlo.

Inoltre ad oggi non disponiamo solo delle memotecniche degli antichi, ma anche di strategie derivate dagli studi di psicologia della memoria, che interessano anche altri aspetti dell’apprendimento, come ad esempio le modalità e i tempi di ripasso, la gestione del contesto, l’organizzazione dei concetti.

Il prossimo passo, l’unico che può davvero fare la differenza nella qualità dell’apprendimento e delle competenze delle persone di domani, è quello di iniziare a strutturare gli stessi insegnamenti scolastici sulla base di queste strategie. Mi chiedo se sarà mai possibile…

saradalcin
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